ANOTHER WORLD: un viaggio spaventoso e magnifico

RetroMagazine nr. 30 – Anno: 2021 – Autore: Giuseppe Rinella

Voglio partire subito con un paio di domande: nel 2021 ha senso recensire film come “Il Padrino” o “Toro scatenato”?
E recensire dischi del calibro di “The dark side of the moon” o “London Calling”?
No, secondo il mio modestissimo parere, non ha alcun senso.
Parliamo di capolavori assoluti, storia del cinema e della musica.
Certo esaminandoli attentamente, con occhio critico e mettendoci un certo impegno, potremmo anche trovare qualche difetto, ma questo non cambierebbe di una virgola il fatto che si tratti di opere fondamentali e senza tempo, per chiunque ami il cinema e la musica.

Anche nell’ambito dei videogiochi esistono delle vere e proprie opere d’arte, giochi imprescindibili che chiunque ami questo medium deve conoscere.
Esistono giochi che segnano l’anno zero, esiste un prima e un dopo di loro.
Sono giochi di una portata storica tale da rendere una recensione quasi un insulto.

Quello di cui voglio parlare (e non recensire) oggi fa indubbiamente parte di questa categoria, si tratta di quel capolavoro assoluto che è Another World, rigorosamente giocato sul mio amato Amiga all’epoca della sua uscita.

Pubblicato nel (ahimè lontano) 1991 da US Gold, partorito dalla geniale mente del francese Éric Chahi e da lui interamente sviluppato (ad eccezione di musiche ed effetti sonori) su e per Amiga per Delphine Software, richiese circa due anni di sviluppo, un tempo abnorme per gli standard dell’epoca.
Negli anni successivi è stato convertito per qualunque piattaforma esistente o quasi, non mi stupirei se un giorno dovessi vederlo girare all’interno di un qualche elettrodomestico.

Veniamo dunque al gioco.
Ma non troppo in fretta.
Sì perchè per prima cosa c’è da vedere la presentazione animata, un capolavoro nel capolavoro che ha fatto semplicemente scuola.
Uno di quei casi in cui “skippare” l’intro dovrebbe essere illegale e severamente punito.

La sequenza animata inizia, vediamo una Ferrari che si ferma sgommando, con quel giusto grado di tamarragine che chi possiede una macchina simile ha tutto il diritto di sfoggiare.


Un uomo scende e si dirige all’interno di un edificio, entra dentro l’ascensore, scende.
Arriva davanti ad una porta, per poter accedere inserisce una sequenza numerica tramite un tastierino, solo adesso intuiamo che quell’edificio è qualcosa di più della struttura anonima che abbiamo visto poco prima.
L’uomo entra, viene sottoposto a scansione per il riconoscimento, dal computer apprendiamo le prime piccole informazioni: è un professore e sì, quella era una Ferrari.

Il professore si siede e avvia un esperimento con un acceleratore di particelle.
Mentre si disseta con una bibita l’inquadratura si sposta all’esterno, tuoni e fulmini, il meteo insomma non promette nulla di buono.
Un fulmine cade e colpisce il laboratorio infilandosi nell’acceleratore di particelle mentre l’esperimento è in corso.
Un botto fragoroso e il professore, insieme a buona parte della sua postazione di lavoro, non ci sono più.
Fine.

Sono due gli elementi di questa intro che mi colpirono, e ancora oggi colpiscono, di più.
Il primo: l’aspetto grafico e sonoro.
Ricordiamolo ancora, era il 1991. Mai si era vista un’introduzione così cinematografica per un videogioco.
La realizzazione grafica era semplicemente sbalorditiva, la regia magnifica, la musica creava una tensione crescente che quasi sfociava nel terrore.
Fin dal primo frame sapevamo che stava per succedere qualcosa, non potevamo sapere cosa ma eravamo consapevoli che non si trattasse di nulla di buono.
Secondo elemento, che sarà poi presente nel corso dell’intero gioco: finita la sequenza animata, quanto sappiamo di ciò che sta succedendo? Praticamente nulla.
Non sappiamo chi sia questo professore, non conosciamo lo scopo di questo esperimento, non sappiamo dove si trova il laboratorio che abbiamo visto e non conosciamo neanche il quando.
Non sappiamo ovviamente dove il professore sia finito.

Se pensassimo questa presentazione come un trailer di una nuova serie, o di un film, arrivati alla fine saremmo a dir poco incuriositi, con stampata in volto un’espressione tipo “Cosa ho appena visto??” e non aspetteremmo altro che poter assistere a ciò che succederà di lì in avanti.
Questo per dire quanto questa intro sia a dir poco riuscita e funzioni benissimo ancora oggi.

L’introduzione dunque non ci dice quasi nulla, non abbiamo alcun punto di riferimento.
Iniziando il gioco scopriremo che così sarà per tutta l’avventura e che sarà anche (forse soprattutto) questo a renderla indimenticabile.

Il gioco inizia, ci ritroviamo catapultati, insieme a ciò che resta della già citata postazione di lavoro, in acqua.
Personalmente ricordo ancora la prima volta che giocai ad Another World, e ricordo perfettamente che morii subito.
Sì perchè niente e nessuno mi avvertì che quello era l’inizio dell’avventura, che a quel punto ero io a dover fare qualcosa, lo capii solo dopo essere morto, afferrato da quei tentacoli di chissà quale enorme mostro.
Intuii così che, nel corso del gioco, il numero di volte in cui sarei andato incontro alla morte sarebbe stato piuttosto elevato, ed effettivamente così fu.

Uscito da quella specie di piscina, il professore prende fiato ed eccola lì, l’essenza del gioco fu per me evidente già dopo quei pochi secondi, ed era meravigliosa.
In quel momento mi sentii spaventato e spaesato esattamente come il professore, provando sensazioni che nessun gioco mi aveva mai procurato prima.
Spiego meglio.

In qualunque avventura noi siamo il personaggio che stiamo utilizzando, questo è ovvio.
Simpatizziamo con lui/lei, empatizziamo a volte, insomma ci immedesimiamo nell’avventura interpretando quel ruolo.
In Another World tutto ciò raggiunse un livello che forse non si era mai visto prima di allora.

Provate un attimo ad immaginare: state lavorando, in un istante vi trovate in acqua, insieme a parte della vostra scrivania, a dover nuotare per diversi metri cercando di non affogare, inseguiti da tentacoli enormi.
Uscite dall’acqua, e già è andata bene, vi trovate in un luogo mai visto e senza avere la minima idea di cosa fare, dove andare e soprattutto cosa diavolo sia successo.
Tutto ciò che intuite è che ovunque vi troviate, non si tratta di un posto ospitale.

Bene, quella sensazione di angosciante spaesamento è ciò che proviamo anche noi giocatori, esattamente come il professore.
Così come a lui, non ci viene fornita alcuna informazione, non esistono indicatori a schermo.
Niente energia, vite, nessun cronometro che misuri il tempo o un qualunque accenno ad una o più abilità.
Nessuna freccia che ci indichi la direzione da seguire, un obiettivo da raggiungere, qualcuno con cui interagire, niente di niente.

Siamo talmente immedesimati che quasi possiamo sentire sulla nostra pelle i vestiti ancora fradici.
Ci sentiamo completamente indifesi, non abbiamo nulla con cui poter almeno accennare un’autodifesa.
Non sappiamo da chi o cosa doverci difendere ma abbiamo il forte sospetto che dovremo farlo.
Tutto ciò che possiamo fare è andare verso destra, con la speranza di trovare una qualunque spiegazione a ciò che ci sta capitando.
Abbiamo appena iniziato e l’immersione è già totale.
Da qui in poi qualunque essere vivente incontreremo vorrà soltanto farci fuori, o nel migliore dei casi imprigionarci.
Animaletti mollicci velenosi, qualcosa di simile a un grosso felino che ci insegue, umanoidi enormi che al nostro pacifico saluto rispondono con un colpo di pistola laser.

Scopriremo presto che Another World sarà sempre questo.
Non sapremo mai cosa fare e cosa ci aspetta nella schermata successiva.
Tutto ciò che ci guiderà sarà l’istinto di sopravvivenza.
Niente oggetti da collezionare e record di punti da battere.
Non siamo eroi senza macchia e forse neanche particolarmente coraggiosi.
Sappiamo solo che vogliamo sopravvivere e che per farlo dobbiamo scappare, senza però avere idea di dove poter andare, ammesso che in questo strano posto esista un rifugio sicuro.
Soprattutto non abbiamo idea di come tornare a casa.

Di lì a poco incontreremo l’unico personaggio che si rivelerà a noi amico, imprigionato come noi per chissà quale ragione. Ci dirà anche qualcosa che ovviamente, causa lingua a noi sconosciuta, non potremo mai capire.
Sarà con e grazie a lui che inizieremo la nostra fuga per la libertà.
Troveremo una pistola che sarà la nostra unica arma per poter sopravvivere, pur non avendo idea di come usarla, non del tutto almeno, ma lo scopriremo.
Non prima di essere disintegrati almeno un paio di volte.

Da qui in poi la nostra avventura sarà un unico, lungo inseguimento.
Ci troveremo in situazioni frenetiche, coinvolti in sparatorie a colpi di pistole laser degne di Star Wars.
Con la differenza che in Another World i nostri inseguitori hanno una mira decisamente migliore degli Stormtrooper, che invece non hanno mai centrato un bersaglio neanche a pagare.

Vivremo momenti meno caotici in cui non saremo braccati, ma che non saranno affatto rilassanti.
Come l’arrivo nei sotterranei della prigione, in cui ci ritroveremo ancora soli, senza il nostro unico amico e in cui ci imbatteremo in una delle sequenze più claustrofobiche mai viste in un videogioco, almeno per chi scrive.

Mi riferisco a quella parte, per fortuna breve, in cui dovremo rotolare senza vedere dove stiamo andando, sperando di trovare la strada giusta.
Tutto questo in uno spazio strettissimo, buio e probabilmente freddo.
Non è certo la parte più difficile del gioco, anzi con un paio di tentativi ce la si fa.
Provate un attimo ad immaginarvi in una situazione simile però, e ditemi se non venite assaliti dal panico totale.

Non c’è musica nel corso dell’intera avventura, ad esclusione del finale, e non poteva esserci scelta più azzeccata.
La totale assenza di un qualunque sottofondo musicale contribuisce al senso di pericolo che percepiamo dall’inizio alla fine della nostra avventura, oltre a rendere il tutto decisamente più verosimile.
In fondo anche nella nostra vita di tutti i giorni, non c’è nessuna musica che accompagni le nostre azioni, no?
Non c’è nulla di epico o esaltante in ciò che ci sta succedendo, siamo solo dei disperati che cercano di non morire.

Dal punto di vista grafico Another World era semplicemente una meraviglia, pur essendo piuttosto essenziale.
Il nostro professore e gli altri personaggi umanoidi vennero creati utilizzando una manciata di poligoni “nudi”, senza dunque alcuna texture, molto basilari.
Le animazioni furono realizzate con la tecnica del rotoscope, per intenderci la stessa utilizzata in Prince of Persia.
I fondali sono bitmap statici, anche sotto questo aspetto l’essenzialità è ben presente e funziona alla grande.
Con poche linee e una manciata di colori, gli ambienti creati sono carichi di atmosfera ed estremamente evocativi. Anche i diversi personaggi, per quanto esteticamente scarni, funzionano alla grande.
Un aspetto davvero interessante, che spiega in buona parte l’atmosfera che respiriamo per tutta la durata della nostra avventura, riguarda la realizzazione di Another World.
Quando lo sviluppo del gioco iniziò non esisteva alcuna sceneggiatura, uno storyboard o altro, nulla di pianificato insomma.
La prima parte ad essere realizzata fu la presentazione, una volta ultimata neanche Chahi sapeva ancora cosa sarebbe successo da lì in avanti.

E così fu per tutto lo sviluppo dell’avventura che proseguì navigando a vista, lo sviluppatore non aveva idea di cosa ci sarebbe stato nella schermata successiva, a quali avvenimenti stava andando in contro e come sarebbe proseguita la storia.

Scopriamo quindi che quel senso di spaesamento, confusione e ansia che il protagonista vive, e noi con lui, sono le sensazioni che provava anche Chahi nel corso dello sviluppo di ciò a cui noi stavamo giocando.
La solitudine del protagonista, soprattutto della prima parte del gioco, è la sua solitudine, quel lieve senso di angoscia dovuto all’incertezza era ciò che anche lui provava.

Questa splendida avventura diventa così metafora della sua stessa nascita e crescita.
Noi siamo il professore, ma siamo anche un po’ Chahi.
Pura poesia videoludica.

Il finale del gioco è una lezione che molti sceneggiatori, di film o videogiochi che siano, dovrebbero imparare a memoria.
Senza voler spoilerare nulla (caro lettore, se non hai mai giocato e portato a termine Another World, non possiamo essere amici), la sequenza finale ci lascia nell’incertezza totale su ciò che succederà da qui in poi al professor Knight e al suo fidato amico.

In realtà lo sapremo qualche anno dopo e il nostro professore non farà una bella fine purtroppo.
Nel 1994 infatti fu pubblicato il seguito di Another World dal titolo “Heart of the Alien”, in cui ci troviamo a guidare Buddy, il nostro amico alieno, grazie al quale rivivremo gli avvenimenti di Another World dal suo punto di vista.

Il gioco fu però un flop clamoroso.
Chahi, che inizialmente avrebbe voluto concludere la storia con Another World, fornendo volutamente al giocatore più domande che risposte, non prese parte al suo sviluppo.
Si limitò a supervisionare il lavoro a distanza, ma non fu affatto contento del risultato finale, tanto da essere felice per il suo insuccesso.
Più che per la sua qualità (non ai livelli del primo capitolo, ma neanche così pessima), Heart of the Alien fu vittima del clamoroso flop dell’unica piattaforma su cui il gioco uscì, ossia il Sega CD.
Quando si dice la lungimiranza.

Prima di chiudere, un paio di note che raccontano l’importanza dell’opera Another World per le generazioni di sviluppatori e videogiocatori future: l’anno successivo fu pubblicato Flashback, anche lui da Delphine Software, un signor gioco che molti considerarono legato in qualche modo ad Another World.
Ciò era dovuto probabilmente anche al il suo stile grafico, che aveva in effetti diversi aspetti in comune con l’opera di Chahi, probabilmente anche l’ambientazione aliena contribuì.
Per molti fu una sorta di seguito spirituale, ma così non era.
Tra i due giochi non c’è alcun legame, ad esclusione di Delphine Software, ma l’influenza di Another World è innegabile.

Diversi anni dopo Fumito Ueda, creatore del meraviglioso Ico per Playstation 2, disse esplicitamente quanto fu influenzato dalla creazione di Chahi. Si veda ad esempio la totale assenza di indicatori a schermo in Ico, così come avveniva in Another World.
Hideo Kojima, il padre di Metal Gear Solid, citò Another World come uno dei cinque giochi che maggiormente lo influenzarono.

In conclusione, considerare Another World un gioco è davvero riduttivo.
E’ un’opera d’arte, un insieme vorticoso di emozioni.
Smarrimento, angoscia, paura, eccitazione, tutto ciò e molto altro ancora condensato in due floppy ricolmi di bellezza.
Più che un videogioco è un’esperienza che va vissuta e assaporata in ogni suo singolo pixel.
Another World non può essere semplicemente giocato, Another World va vissuto.

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