Intervista a Giovanni Galli, creatore di Streben

RetroMagazine nr. 43 – Anno: 2023 – Autore: Giorgio Balestrieri

I giochi di ruolo sono ormai entrati nell’immaginario collettivo, grazie anche ad una serie di film e prodotti televisivi che hanno permesso al grande pubblico non solo di scoprirli, ma anche di capire, o perlomeno intuire, come funzionano e che tipo di intrattenimento possono offrire. Esistono tantissimi videogiochi dedicati a questo genere, ma qui ci occuperemo di quelli tradizionali, da giocare con carta, penna e miniature dei personaggi.
Lo faremo grazie all’aiuto di Giovanni Galli, membro della redazione della prima ora, ideatore di Streben, un gioco di ruolo tutto italiano nato dalla passione di Giovanni per questo genere ludico. Con lui dunque parleremo non solo del suo progetto ma discuteremo anche dei giochi di ruolo in generale, dalla nascita agli sviluppi odierni.
Confesso che chi vi scrive non ha mai giocato a questo tipo di giochi. Da ragazzo (circa 40 anni fa), l’unico rappresentante noto del genere era Dungeons & Dragons ma non sono mai riuscito ad iniziare una partita, intimidito dalla complessità delle istruzioni e dalla lunghezza della fase preparatoria. La prima domanda per Giovanni viene quindi naturale.

Streben che tipo di gioco è? Complesso come quelli che ricordo?
Innanzitutto è bene specificare che Streben rappresenta due prodotti distinti: un gioco da tavolo e un gioco di ruolo. Il GdR assomiglia sicuramente a Dungeons & Dragons come meccanica, però la scheda del personaggio la crei in 5 minuti e subito inizi a giocare. Lo volevo esattamente così, facile da imparare e da “preparare”, così da permettere anche a chi non è esperto di GdR o non ha il tempo di studiare voluminosi manuali, di iniziare a giocare il più rapidamente possibile. In Streben gioco di ruolo hai tutto in una paginetta e mezzo; apprendere le istruzioni, preparare l’avventura e mettersi a giocare è molto veloce.

So che sei appassionato di GdR da tantissimo tempo e immagino che molti giocatori abbiano nel cassetto il proprio gioco. La decisione di tirarlo fuori e renderlo reale quando ti è venuta?
Come spesso accade, è stata una combinazione di eventi. Volevo realizzare il mio gioco in collaborazione con un mio amico, Nicolò Rossi, uno storico medievalista, e così insieme abbiamo elaborato uno scenario considerando l’anno 1220 D.C., un medioevo già avanzato ma dove non esistevano ancora le armi da fuoco, in cui la storia così come la conosciamo cambia corso e si sviluppa secondo un copione che abbiamo ideato noi. Abbiamo ipotizzato che un evento inatteso abbia avuto come conseguenze la comparsa di mostri in tutta Europa, mutuati dalle tradizioni popolari dell’epoca, e la nascita della magia. Ci siamo poi chiesti come le popolazioni del 1220 avrebbero reagito a tutto ciò: in Italia ad esempio, vista la frammentazione di regni e popolazioni, difficilmente sarebbero riusciti a respingere efficacemente le minacce mentre in Germania, dove l’impero era in qualche modo più solido, avrebbero potuto “tener botta”. A questo punto non è restato altro che dividerci i compiti e sviluppare l’idea: io mi sono occupato di elaborare il regolamento e Nicolò di creare il mondo di gioco compatibile con la situazione immaginata: la caduta dei reami preesistenti, la fortificazione delle città, la nascita di un nuovo impero, l’estrema difficoltà per la vita umana di esistere al di fuori delle cinta murarie a causa della quantità di mostri che infesta il pianeta. Ho scoperto che, almeno per me, scrivere il regolamento di un gioco di ruolo è veloce ma farlo funzionare e rendere il tutto accattivante e accessibile al maggior numero di giocatori è tutt’altra faccenda, occorre procedere per continui cicli di prove ed errori. Quello di Streben è stato preparato prima che iniziasse la pandemia di COVID-19, poi durante il lockdown è stato testato giocando ed adattando le regole in base a quello che si rivelava essere poco funzionante o fluido. La fase di test è durata circa un paio d’anni e in pratica ho riscritto il regolamento daccapo un sacco di volte, perché arrivavo sempre ad un punto in cui non mi convinceva la meccanica di gioco e ricominciavo da zero. Alla fine, a forza di scremare e semplificare sono arrivato ad avere un manuale di quattro facciate, che serve anche da schermo. Nella parte rivolta verso il master è descritta l’ambientazione e le regole di gioco, nell’altra c’è una splendida immagine illustrata da Simone Tammetta che i giocatori possono ammirare durante tutta la partita. Tutto qui, si inizia subito a giocare. Il passo successivo è stato quello di creare le avventure, descritte anche queste in una pagina o poco più.

Le avventure cosa sono di preciso? Quest secondarie rispetto ad una trama principale?
No, per spiegartelo facciamo un passo indietro sulla natura dei giochi di ruolo. Le componenti fondamentali di un GdR sono il master, i giocatori e il mondo di gioco, con le sue regole. Il master può inventare una situazione iniziale, secondo la sua fantasia e da lì far continuare il gioco in base a quello che accade durante la partita e alle azioni dei giocatori in risposta agli eventi che gli propone, letteralmente riproducendo la vita all’interno del gioco. Questo può richiedere tempo, soprattutto al master, per familiarizzare con le regole e il mondo in cui il GdR è ambientato. Per facilitare il compito, ci è venuta l’idea di creare delle avventure preconfezionate, ossia delle situazioni in cui il master può calare i personaggi ed iniziare velocemente a giocare. Per spiegarmi meglio, ti descrivo la prima avventura di Streben, quella inclusa nel GdR: la sorella di uno dei personaggi viene accusata di stregoneria e i giocatori devono dimostrare che è innocente. Proseguendo nell’avventura, si scopre che in realtà una strega c’è e quindi per evitare che venga messa al rogo la persona sbagliata, occorre riportare indietro la fattucchiera e scagionare così l’innocente sorella del giocatore. A seconda di come si conclude l’avventura (si riporta indietro la strega viva o morta, la ragazza innocente viene salvata o meno ecc), ci sono poi delle conseguenze che possono diventare dei punti fermi nel mondo di gioco e se ne può tenere conto nelle successive partite.

Dunque, se ho capito bene, le avventure che avete preparato descrivono qual è il contesto generale, quali sono gli attori, chi è il colpevole (se ce n’è uno) ecc e il master gestisce il resto.
Si, è così, in più vengono descritti i pericoli in cui i personaggi possono incappare. Ad esempio, ad un certo punto si affronta un dungeon, rappresentato da una torre. Se i giocatori passano da sotto, incontrano dei ragni che stanno lì a tramare nell’ombra, se passano da sopra dovranno affrontare una trappola. Nella descrizione delle avventure do delle imbeccate al master così che gli sia più semplice far proseguire il gioco a seconda delle scelte che i personaggi faranno. Può aggiungere qualcosa di suo se vuole ma altrimenti, basandosi sulla trama preconfezionata, si può comunque arrivare alla fine del gioco. In questo senso si possono considerare dei tutorial, che ti permettono di sperimentare un po’ per volta come funziona un GdR e portarti poi al punto in cui, come master, sarai in grado di creare da solo le tue avventure e far girare il mondo di gioco in autonomia.

Perciò anche nel tuo gioco il master deve avere una discreta capacità di inventare e narrare storie, nonostante il compito si semplifichi se sceglie di seguire le avventure.
Esatto, questo per i giochi di ruolo è la base, devi saper raccontare storie interattive. Per il gioco da tavolo invece le cose cambiano completamente, non c’è interpretazione, solo puro dungeon crawling alla Eye of Beholder, che conosci anche tu.

Conosco meglio Rogue.
Si, va benissimo, anzi è perfetto perché in Rogue i labirinti sono procedurali così come nel mio gioco.

Quindi i dungeon non sono già predefiniti, identici ad ogni partita.
No, li crei tu sul momento. Io ti do un sistema per generarli, basato sull’uso di un dado a 6 facce per decidere se nella stanza successiva c’è un corridoio, un’altra stanza, una trappola, un mostro e così via. L’unico punto fisso è che ci sono 13 stanze in un dungeon e quando raggiungi la tredicesima, l’hai completato. A quel punto torni in città, rivendi quello che hai recuperato, sali di livello e affronti un nuovo dungeon, più difficile. Quando i giocatori arrivano al nono livello, nel dungeon successivo si affronta un drago e se lo si sconfigge, il gioco termina con la vittoria dei giocatori.

In pratica è un roguelike in formato gioco da tavola.
Sì e come nei roguelike, la morte di un giocatore è permanente e ovviamente non puoi salvare il gioco. A differenza di questo tipo di giochi però, dove a volte se muori non è per colpa tua ma solo maledettissima sfortuna, qui c’è una forte strategia perciò, se impari a giocare correttamente e anche se all’inizio sia piuttosto facile restarci secchi, dopo un po’ non muori più, perché hai capito il modo in cui battere il gioco.

L’esperienza accumulata nelle partite precedenti puoi dunque metterla a frutto nelle successive.
Esatto, addirittura qui il talento del giocatore vale più di quello del personaggio, proprio perché conta l’esperienza accumulata giocando. Per fare un paragone è come in Ghosts’n Goblins; una volta che si capisce che uno specifico mostro si ammazza in un certo modo, si smette di attaccarlo a casaccio e ci si prova sempre nella maniera giusta.

L’idea di provare a farne un prodotto commerciabile invece quando è nata? Era già prevista dall’inizio o magari vi è venuta alla fine, come dire, già che il gioco l’abbiamo, vediamo se si vende.
Allora il gioco di ruolo, inizialmente, non mi interessava venderlo. Mi interessava vendere il gioco da tavolo; il GdR, come hai visto, è davvero minimale, una facciata di piegabile. Per farlo diventare un prodotto finito abbiamo investito un centinaio di euro, pagato un’artista, creato un’immagine, fine. Il gioco da tavolo invece richiede molto più materiale e quindi un investimento decisamente maggiore per cui con Nicolò ci siamo detti o tiriamo fuori soldi a perdere, perché tanto non c’è nessuna garanzia di recuperarli, oppure cerchiamo di creare un seguito che ci possa aiutare, una community. Per finanziare il progetto non abbiamo scelto la via del crowdfunding, che tanto va di moda ultimamente, ma quella dei pre-order. L’obiettivo però è stato lo stesso, ottenere soldi da investire e trasformare l’idea in realtà.

E com’è andata?
Nel dicembre del 2021 abbiamo distribuito gratuitamente il GdR ed ho avviato i tentativi di creare la community, pubblicizzandolo sui vari gruppi Facebook dedicati ai giochi di ruolo. Le persone hanno iniziato ad interessarsi e ogni settimana rilasciavamo un’avventura gratuita. Questo perché se tu dai un GdR nuovo gratis, le persone mostrano pochissimo interesse, perché hanno già un sacco di giochi di buona qualità a cui giocare. Se invece gli dai delle avventure le cose cambiano, perché a quel punto pensano “non sono più io che mi devo sforzare per creare un’avventura dal nulla, ce l’ho già pronta, posso giocare subito” e questo invoglia a provare il GdR. A quel punto però devono usare il tuo sistema di gioco e quindi l’interesse per il progetto cresce.

Ha funzionato? Sei riuscito a catalizzare l’attenzione degli appassionati su Streben?
Si, piano piano l’interesse è cresciuto e hanno fatto la comparsa avventure e contenuti extra prodotti dai partecipanti della community. Adesso se vai su Telegram, sul gruppo Streben, trovi 98 persone (al momento della scrittura di questo articolo, ndr). Poi ho lanciato l’idea dei pre-order, cercando nel frattempo di capire chi era anche interessato al gioco da tavolo, ambientato nello stesso mondo, con le stesse dinamiche, ma dove non c’è la parte creativa del master, puro dungeon crawling. Anche qui l’idea di tenerci sul minimale ha vinto; non ci sono né tile (le tessere per costruire le mappe ndr) né miniature nella scatola perché il gioco è pensato per riutilizzare quelle che hai già. E se non le hai, puoi acquistare quelle che più ti piacciono ed usarle con Streben. Questo ha permesso di tenere i costi di produzione bassi e rendere il gioco accessibile ad un pubblico maggiore. Il GdR in questo modo è andato bene, ma il mio obiettivo era arrivare a produrre anche il gioco da tavolo. Nel 2022 mi sono presentato al Modena Play, la più grossa fiera dedicata ai giochi da tavolo, che si è tenuta più o meno a Maggio se ricordo bene. Lì sono andato di editor in editor a presentare il gioco di ruolo, me li sono girati proprio tutti. Avevo fatto delle copie, le regalavo e dicevo, guarda, ho fatto questa cosa, se ti interessa parliamone, finché ho incontrato quelli di Dungeoneer Games & Simulations e ho scoperto che il gioco lo conoscevano già, proprio per l’attività che avevo fatto sui social mesi prima. Questo mi ha sorpreso ma reso ovviamente molto felice, anche perché mi hanno proposto di arrivare ad un accordo per distribuire il GdR. Gli ho risposto che dovevo parlare con il mio socio ma che sicuramente avrebbe accettato a patto che si fosse arrivati anche alla distribuzione del gioco da tavolo, che era da sempre il mio desiderio. Per me Streben è un unico progetto declinato in due giochi diversi, l’uno senza l’altro non gli renderebbe giustizia. Sulle prime erano un po’ restii ma sono riuscito a convincerli, così a giugno ha visto ufficialmente la luce il GdR e a settembre anche il gioco da tavolo. Ora stiamo pubblicando un po’ per volta delle espansioni.

La consapevolezza di cosa sia un gioco di ruolo oggi non è più limitata ad un ristretto gruppo di appassionati ma, nonostante questo, il giocarci è ancora riservato ad una nicchia, proprio per le peculiarità di questo tipo di intrattenimento. Non è da tutti possedere la determinazione necessaria per imparare manuali da decine (o peggio centinaia) di pagine e gestire la parte creativa che i GdR richiedono. Istintivamente credo che il gioco da tavolo sia più semplice da affrontare per un neofita.
Si ma c’è da considerare anche altri aspetti. Ad esempio, se vuoi giocare a D&D, ti tocca spendere circa 150€. Ogni manuale costa in media 50€, ci sono le miniature e le tile, i pezzi di mappa che incastri per formare il campo di gioco, ecc che devi acquistare e questo porta su il prezzo di molto. Io ci tenevo a fare prodotti per le masse, è sempre stato un mio obiettivo, Streben costa 13€, con la prima avventura compresa, il gioco da tavolo ne costa 20. Questo mette tutti in grado di acquistarlo ed è il motivo per cui ci siamo tenuti sul minimale, come dicevo prima. Se avessimo incluso anche gadget come le miniature, le mappe, un manuale più ricco, il prezzo sarebbe lievitato ai 150-200€, così come accade per i vari Descent, Gloomhaven e tutti i prodotti simili di questo periodo. La mia idea è stata, fate con quello che avete a casa; avete i Lego? Giocate con i Lego. Avete fogli a quadretti? Disegnatevi le mappe e usate sassolini come personaggi. Volete spenderci di più? Fatelo, andate su Internet e acquistate personaggi e mappe modulabili. Oppure riciclate quello che avete invece di comprare roba nuova ogni volta. Questa decisione per me è stata un rischio, perché chi compra giochi di ruolo e da tavolo a tema spesso lo fa solo perché gli piacciono i pupazzetti, del gioco vero non se ne interessano, qualcuno addirittura non ci gioca mai. Esistono giochi ed editori che sfruttano la cosa e in pratica vendono (anche care) miniature più che giochi. Togliendo questi tipo di accessori ho preso quindi un rischio puntando sulla giocabilità e sulla qualità della soddisfazione nel giocare, ma secondo me è un rischio contenuto. In futuro comunque nulla vieta di aggiungere anche questo tipo di gadget, magari trovando una formula per mantenere i costi bassi e tenere quindi alta l’appetibilità del prodotto su questo fronte.

Beh, mi sembra sia stata un’ottima idea, visto che sta funzionando. Sviluppi futuri? Ce sono altri, oltre alle espansioni di cui ci hai già detto?
Ci sono delle idee, come ad esempio tradurlo in inglese e lanciarlo all’estero, arrivare a distribuirlo nelle librerie e creare un bundle che, contenendo il prezzo, includa sia il GdR che il gioco da tavolo.

Questo va un po’ controcorrente rispetto alle tendenze del marketing, oggi il lancio di un prodotto del genere si preferisce farlo in pompa magna, puntando al mercato più grande possibile con il prodotto più platinato possibile. Tu hai scelto una strada vecchia, quella di vedere passo passo come va.
Si, siamo partiti dal basso per così dire, per abbassare i rischi e i costi di impresa. Diversamente, io e Nicolò avremmo dovuto tirare fuori una vagonata di soldi che non avevamo, e rischiare di perdere tutto. Così invece siamo riusciti comunque a produrre qualcosa e stiamo reinvestendo quello che guadagniamo per realizzare il prossimo passo. Se funzionerà te lo dirò sul lungo periodo.

Una parte che trovo particolarmente interessante di questa operazione, è la dimostrazione pratica della forza di Internet che, se usata nel modo giusto, può davvero aiutare a diffondere e tradurre in realtà un’idea, come quella di un gioco pensato per stare su un semplice foglio di carta.
É vero, sono convinto che Internet sia stata la chiave del successo, ma è anche la ragione per cui ora il settore dei giochi di ruolo è sì famoso, ma anche saturo. Per noi intercettare un bisogno, ossia il desiderio del pubblico per qualcosa ancora non presente all’interno di questo mondo nonostante la quantità di prodotti, è stato estremamente complesso, molto più di quello che poteva essere 10 anni fa. Quando mi sono approcciato al mondo dei giochi di ruolo, si andava in fiera dove si vedevano i giochi nuovi e alla fine compravi sulla fiducia, perché oltre quello non c’erano altri canali e fonti di informazione per capire che prodotto avevi davanti. Adesso ci vuole veramente poco per creare il tuo gioco di ruolo e pubblicarlo online. Riuscire a spiccare, mostrare che il tuo gioco è più interessante degli altri, è molto più dura.

Credo che grossomodo sia stato sempre così. É vero che all’epoca avevi pochi o nessun modo per valutare un nuovo gioco, per cui accettavi di comprare a scatola chiusa, ma se il gioco valeva poco, molta strada non ne faceva, nel senso che sì, se aveva un buon marketing ed uno stand accattivante, raccoglieva un po’ di di successo in fiera, ma poi il passaparola tra gli amanti del genere non scattava, e le vendite non decollavano. In un settore così di nicchia, credo che non sia facile ingannare più di tanto gli acquirenti.
Certo, ma senza Internet dove reperire informazioni e farti un’idea più precisa del prodotto, capitava che anche un pessimo gioco riuscisse a vendere un buon numero di copie per puro caso o perché, come hai detto, aveva un buon supporto marketing. Con internet è tutto più difficile sia perché è più veloce diffonderli, e quindi ci si ritrova con più competitor, ma anche perché è più semplice informarsi. Ci sono recensioni, comunità di appassionati, alla fine se un gioco non vale, lo si viene velocemente a sapere.

Questo a mio parere è un po’ quello che è accaduto anche per i videogiochi in generale. Io li ho visti nascere, letteralmente vista l’età, qui in Italia. Dopo i trent’anni ho praticamente smesso di giocare perché tutto sommato innovazioni vere non ce ne sono più state; nell’arco di trent’anni il settore si è saturato, idee rivoluzionarie non son venute fuori. Rielaborazioni di meccaniche già note, introduzione di artifici scenografici, perfezionamenti fino all’estremo quelli sì, ma per me erano un po’ una minestra riscaldata. Ciò che ho notato, è lo spostamento dell’attenzione dei designer verso la storia raccontata da un videogioco più che a quella giocata. Molti giochi si sono spostati dall’intrattenimento interattivo puro allo storytelling, con esempi anche notevoli in verità e prodotti in cui le due caratteristiche sono sapientemente mescolate, come accade nei giochi Nintendo. Certo, è riduttivo definire i videogiochi solo in base a queste due aspetti e non giudico affatto lo storytelling un male, ma l’argomento è complesso e occorrerebbero più volumi per sviscerarlo. Di fatto, una vera novità nella meccanica non l’ho più vista dopo un certo punto in poi, tranne che nella Wii, dove il concetto di interfaccia tra giocatore e gioco é stato rovesciato. Posso capire quindi quello che dici a proposito dei giochi di ruolo.
Si, l’evoluzione è stata in un certo senso simile. Il primo gioco di ruolo riconosciuto come tale è D&D, a metà degli anni ‘70. Sono in pratica nati insieme ai videogiochi e se ci pensi, sono entrambi figli della stessa cultura. E come i videogiochi, anche i giochi di ruolo si sono orientati molto di più sulla storia, dove tu ti appassioni più alla trama che al gioco, le emozioni nascono da quella. Il mainstream dei gioco di ruolo oggi è puntare molto di più verso l’aspetto narrativo tanto che i GdR premiati come migliori giochi degli ultimi anni seguono tutti questo filone. Con Streben ho scelto di rompere con questa dinamica; esiste già una corrente “old school” con tanti giochi ma perlopiù sono variazioni del primo D&D. C’è qualche regolamento originale, e il nostro gioco va in quella direzione lì, volevamo però qualcosa che non rifiutasse la narrazione ma che prevedesse anche molta casualità: si deve poter morire, anche abbastanza spesso, il gioco non deve derivare da un accordo tra il master e i giocatori, una cosa del tipo dobbiamo creare una favola tutti insieme. Qui stiamo raccontando un’esperienza e nell’esperienza può andarti bene o può andarti male, anche in una maniera che nessuno aveva pensato, perché i dadi sono imprevedibili. Questo è un punto di rottura con la tendenza odierna; in questo momento il mercato va da un’altra parte e la stessa cosa secondo me succede nei videogiochi; ci ritroviamo con Last of us, Uncharted e una marea di giochi che sono fondamentalmente solo trama mentre spuntano prodotti indie che invece seguono la filosofia opposta, puntando tutto sul gameplay nel modo giusto ed emergono in una marea di giochi indie che sono alla fine tutti uguali perché si limitano a replicare meccaniche del passato senza tentare di innovarle.

Questo è interessante e a proposito di ciò che hai appena detto, vorresti provare a tracciare storia di questo genere, dalla nascita ad oggi seguendone l’evoluzione, a beneficio di quelli come me, che conoscono i GdR solo a grandi linee, magari senza averci mai giocato?
Spero di essere la persona adatta anche perché pure io ho avuto una fase in cui ci ho giocato poco. Sicuramente i giochi di ruolo nascono con D&D, su questo non ci piove e immediatamente sono spuntate le imitazioni, analogamente ai videogiochi dove Pong ha dato origine a innumerevoli cloni e varianti sul tema, in questo campo sono nati prodotti come Tunnel and trolls o giochi che erano fondamentalmente delle variazioni modellate sul primo D&D. L’idea originale di un gioco di ruolo è: entri in un dungeon, ammazzi mostri, prendi il tesoro, torni in città, rivendi tutto e cresci di livello. Tutti i prodotti dell’epoca erano basati su questa meccanica. Poi è venuta quella che secondo me è stata la seconda ondata di giochi di ruolo, tra gli anni ‘80 e ‘90. Giochi più investigativi, sociali, come ad esempio Il richiamo di Cthulhu ispirato ai racconti di Lovecraft che non pone i giocatori nei panni di guerrieri o maghi ma di investigatori, gente che se si becca un proiettile muore, dove i combattimenti sono decisamente secondari e l’obiettivo primario é invece l’investigazione, la ricerca. Analogamente accade con il mondo di Tenebra, che ha introdotto vampiri e licantropi. Tutta quella che è stata e che è la produzione della White Wolf ha spostato l’interesse su un gioco di ruolo più sociale, più politico. Volendo fare un paragone, più che ai videogiochi penso alle serie tv, a Game of Thrones per la precisione. É una serie fantasy ma sviluppa molto gli aspetti politici; lotte e combattimenti non mancano, ma la trama va avanti soprattutto per strategie politiche, così come nei giochi della White Wolf. Verso la fine degli anni ‘90 c’è stato un periodo di crisi perché dopo la terza edizione di D&D, la 3.5 per la precisione, lo spirito e il buono di D&D si è perso. La quarta edizione non è piaciuta a nessuno, tutto ciò che costituiva i pilastri del genere è cominciato a venire meno. Questo ha dato un forte impulso alla scena indie, sempre presente ma con successi davvero modesti, che nel periodo 2000-2010 è cresciuta tantissimo al punto di aver visto nominati per il miglior gioco di ruolo dell’anno prodotti nati in questo ambiente, fatto di case editrici piccole, autori indipendenti e persone che si sono autofinanziate, senza avere dietro l’impero che ha D&D. Il marchio D&D produce anche film e cartoni animati e ha un merchandising pazzesco; non è al livello della Warner Bros ma ha una grossa forza economica a differenza delle piccole case editrici, che però possono comunque inserirsi nel mercato da indie ed arrivare a prodotti tradotti in più lingue da diffondere su più mercati e a volte il successo arriva. Ad esempio un titolo relativamente recente, nato nel ramo indie e diventato molto famoso è Mork Borg, un gioco norvegese, almeno credo o comunque scandinavo (è svedese ndr) scritto direttamente in inglese. Gli autori (Pelle Nilsson e Johan Nohr, ndr) hanno creduto subito alla diffusione internazionale e l’hanno scritto direttamente in inglese, che probabilmente conoscono meglio di me.

Quali sono i punti di forza di Mork Borg?
Sicuramente l’aspetto grafico è quello che più colpisce, si rifà un po’ alle riviste punk degli anni ‘70, con giallo, viola e nero sparati alle stelle, molto acidi che danno una bella botta mentre li guardi. L’ambientazione è un altro punto a favore, molto molto molto cupa, peggio di Dark Soul e di Darkest Dungeon, roba che ti fa capire immediatamente quanto è brutta la situazione. Tutto ciò ha colpito molto favorevolmente il pubblico internazionale, compresa l’Italia dove è parecchio diffuso ma ciononostante non c’è mai stata una traduzione in lingua italiana, viene utilizzata la versione inglese. Sicuramente l’indie di maggior successo degli ultimi anni ma è dannatamente difficile. I mostri sono esageratamente forti e tu all’inizio non hai neanche una spada, cominci i combattimenti con un osso in mano. É una situazione infernale, che ti fa partire con la certezza che morirai presto, ma il gioco funziona e va bene lo stesso. É un roguelike puro, ed è il titolo più discusso degli ultimi anni.

Cosa merita di essere menzionato dopo?
Secondo me la quinta edizione di D&D. La quarta era stato un fallimento completo su tutta la linea, la quinta invece è venuta fuori benissimo, meglio di tutte le altre precedenti. Credo che il suo successo sia dovuto a due azioni chiave; la prima è stata rivedere il regolamento. Era diventato troppo complesso e con un numero di regole davvero eccessivo, perciò l’hanno semplificato rendendolo accessibile anche non esperti ma non tanto da deludere i fan di vecchia data.

E la seconda?
Renderlo davvero figo attraverso un marketing molto furbo. L’hanno infilato in serie tv di tendenza come Big Bang Theory e Stranger Things rendendolo popolare, adesso fa parte dell’immaginario collettivo. L’ho visto con i miei occhi al Lucca Comics, anche allo stand del mio distributore. La metà delle persone che erano lì, volevano D&D, per loro i giochi di ruolo erano principalmente D&D. A parte questo rientro col botto del vecchio classico, dopo l’ondata dei rogue-like, i GdR hanno intrapreso la strada della narrativa. Dal gioco guidato dai dadi, che ti dicono se l’azione che vuoi compiere riesci a portarla a termine o meno, regolati quindi da un’estrema casualità degli eventi, si è passati alle storie interattive, dove la trama va avanti predeterminata, che tu riesca o meno nelle imprese. Certo, ci possono essere diramazioni e finali multipli, ma secondo me non sono propriamente giochi di ruolo. Un GdR ha una trama dinamica, al punto che si potrebbe dire che non ne ha. Tutto è lasciato ai dadi ed alla fantasia del game master, che continua ad inventare cosa viene dopo, in base agli esiti delle azioni dei giocatori. Lovecraftesque, vincitore del premio miglior gioco di ruolo dell’anno nel 2018, è un GdR narrativo così spinto che elimina la figura del master. Nel gioco ci si alterna ad ogni turno nell’impersonare i ruoli previsti e si procede seguendo una trama stabilita. Personalmente ho fatto fatica ad accettare una meccanica del genere, dove non c’è casualità né un’evoluzione libera della trama. Per farti un esempio, in un GdR tradizionale, si può arrivare in un punto dove si incontra un drago. I giocatori possono decidere di affrontarlo direttamente, oppure guadagnare una posizione sopraelevata per coglierlo di sorpresa. Ancora, potrebbero decidere di attaccarlo partendo dalla coda o saltargli sulla testa o fare qualunque altra cosa compatibile con l’ambientazione creata dal master e con i vincoli che ha deciso di imporre. Poi si lanciano i dadi, si vede se le azioni decise hanno successo e in base a questi risultati il master può continuare ad inventare l’evoluzione della storia. Nei narrativi invece le cose non sono lasciate in mano al caso ma alle decisioni dei giocatori, puoi comunque andare avanti fino alla fine. Certo, una storia coinvolgente rende comunque interessante giocare e non sono richieste particolari abilità narrative al master, ma secondo me si perde molto. Comunque sia, a parte D&D che va avanti per la sua strada, al momento la tendenza è quella di produrre GdR narrativi.

Tornando a Streben GdR invece, in che filone si inserisce? Hai detto che è un gioco di ruolo classico ma sono presenti anche delle avventure, che di fatto sono delle trame predeterminate. Come lo classifichi?
Quando ho ideato Streben in realtà non avevo deciso di crearlo come un old school. L’ho scritto come mi piaceva che fosse, poi è stato inserito nella categoria old school perché è ciò cui maggiormente assomiglia. Però non lo è in senso rigoroso proprio perché ci sono le avventure, che in pratica sono esattamente l’opposto di un GdR tradizionale. Volevo un prodotto che si rifacesse ai classici che però potesse anche attrarre nuovi giocatori, come già detto prima, per questo lo definisco un prodotto ibrido, non solo perché esiste due versioni.

Non temi le critiche dei puristi?
Le critiche, purché intelligenti e costruttive, vanno sempre bene però me ne aspetto anche da fanatici che criticano a prescindere qualunque cosa esca dai canoni, è inevitabile. Se vuoi apportare un qualche tipo di innovazione in un settore, qualcosa devi per forza cambiare o rompere degli schemi. Spero che questo sia compreso e apprezzato dalla maggioranza, se poi ho indovinato l’idea giusta, si vedrà. Un gioco di ruolo si definisce tale perché io che gioco non sono Giovanni Galli che interpreta il guerriero Tal Dei Tali ma divento quel guerriero e mi calo nel mondo di gioco, lo vivo. Streben questo lo permette, se poi i giocatori decidono di seguire le avventure, va bene, non è fondamentale per il gioco e comunque anche quelle seguono lo stile di base.

Come valuti un gioco di successo?
Dalle sensazioni che ti lascia quando togli le mani dal tavolo. Che la partita sia durata un’ora o tre mesi, non importa, conta quello che ti fa provare mentre giochi e il senso di soddisfazione che lascia quando è finita. A prescindere da come sia finita. C’è poi il discorso dell’apprendimento; un gioco tradizionale richiede davvero tanto impegno, soprattutto di tempo, nelle fasi iniziali e cominciare una partita può essere estenuante. Streben è pensato per farti cominciare a giocare nel più breve tempo possibile ma è comunque articolato abbastanza per essere coinvolgente durante l’intera partita, anche se siete giocatori esperti.

Sono d’accordo, in generale un buon gioco è quello che ti lascia con un senso di soddisfazione, comunque vada. A questo punto, direi che possiamo chiudere la nostra intervista, ti ringrazio per il tempo che ci hai dedicato e in bocca al lupo per Streben.
Grazie, è stato un piacere poter parlare di Streben con te e fare 4 chiacchiere insieme dopo tanto tempo.

Se qualcuno dei lettori fosse interessato, lascio qui il sito del distributore ufficiale dove acquistare sia il gioco di ruolo che quello da tavolo:

https://www.terradeigiochi.it/streben/7460-streben-9781804319123.html

https://www.terradeigiochi.it/giochi-da-tavolo/7673-streben-cacciatori-di-tesori-dungeon-crawler-da-tavolo-9781804319147.html

Qui invece si possono trovare delle avventure gratuite per Streben:

https://drive.google.com/drive/folders/1MD5CfdpWLBswpPLSZvcehOpQ37PL8UlO?usp=share_link

Chiudiamo così la nostra intervista, con un’ultima, non meno importante, nota. Giovanni si era già cimentato nella creazione di un gioco da tavolo, Cloudy Mountain, che aveva poi rilasciato gratuitamente al pubblico tramite Retro Magazine World.

É davvero minimale ma ciononostante, divertente da giocare. Se siete curiosi, lo potete ritrovare sul numero 23 di Retro Magazine World, scaricabile al solito dal nostro sito ufficiale https://www.retromagazine.net

Share

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.